L’Omelia del vescovo Gerardo al “Te Deum” di ringraziamento Per la celebrazione della Giornata mondiale della Pace
“Dov’è tuo fratello? I luoghi della fraternità”
Carissimi,
la liturgia alla quale
partecipiamo è l’atto della nostra “eucarestia”, cioè della
nostra gratitudine, con la quale celebriamo a cuore aperto i segni
concreti della provvidenza con cui il Signore ha accompagnato il
percorso di questo anno, che ormai volge al suo compimento. La nostra
è anche una preghiera d’invocazione a Dio, per chiedere la sua
rinnovata benedizione sul tempo che ci offre ancora, quale ulteriore
possibilità per compiere il bene, e lasciare traccia di sé, per la
costruzione di una storia sociale che non può migliorare e crescere
se non a partire dalle responsabilità di ciascuno. Saluto tutti voi,
carissimi fratelli e sorelle, amati presbiteri, Autorità Civili e
Militari che condividete la comune adesione alla celebrazione della
Giornata Mondiale della Pace, illuminata, come ogni anno, dal
magistero del Santo Padre. Le parole di benedizione che il Signore,
tramite i suoi servi Mosè e Aronne, rivolge al popolo di Israele in
cammino nel deserto, intendono maggiorare la speranza di poter
raggiungere anche noi la “terra promessa”. Già, la speranza!
Quale speranza? Per quale terra promessa? Ci vuole audacia per
ripristinare nel vocabolario del nostro discorrere ordinario la
parola “speranza”, che sembra svuotata di ogni contenuto e di
ogni elemento di credibilità. “E’ difficile parlare di
speranza – scrive don Tonino Bello -. Bisogna far capire
invece che la speranza è parente stretta del realismo… E’
impegno robusto che non ha da spartire nulla con la fuga…Cambia la
storia, non la subisce. Ricerca la solidarietà con gli altri
viandanti, non la gloria del navigatore solitario” (don Tonino
Bello). La fraternità è la terra promessa della speranza, benedetta
dalle parole pronunciate in questa liturgia da Dio stesso. E’ la
speranza di poter diventare “popolo”, è la terra promessa di
alleanze di pace che si conquista con l’esercizio, spesso eroico,
di una fraternità compiuta. La fraternità praticata ricerca la
solidarietà, costruisce legami, compatta le relazioni, crede
nell’altro. Ama, sogna, progetta, e crede insieme agli altri. La
fraternità umanizza la società perché bonifica le relazioni dai
veleni e dalle tossicità: “La fraternità è una
dimensione essenziale dell’uomo, il quale è un essere relazionale”
(Messaggio per la pace 2014, n. 1). E’ impensabile sperare da soli,
operare da eroi solitari, alla ricerca di una gloria impossibile.
Interroghiamoci, pertanto, sui “luoghi” storici in cui dover
intervenire, per rinnovati e più saldi legami di pace e di
fraternità. E’ urgente ricostruire anzitutto il tessuto delle
relazioni familiari e interpersonali. Oggi soffriamo tutti di
“povertà relazionale”. Non solo il tempo per stare insieme, ma
anche gli spazi vitali da condividere, sono sempre meno abitati. In
molte famiglie, ma anche in tanti luoghi cosiddetti di “aggregazione”
sociale, si vive nei segni della precarietà e provvisorietà
relazionale, quindi nella frammentazione. Nei rapporti sociali,
poi, prevale il sospetto, l’invidia, la gelosia, l’egoismo. Si
diventa persino invidiosi per il progresso altrui, della possibilità
che l’altro migliori il suo stato sociale, che sviluppi una
condizione di vita più dignitosa.
L’altro
dell’appartamento accanto non è più il tradizionale e gradito
vicino di casa, ma un intruso, uno sconosciuto, un estraneo da
ignorare. Nemmeno più un saluto, una stretta di mano, un “buon
giorno” a testa alta. Perché nasconderci dietro un inaccettabile
“non lo conosco”? Invece sarebbe bellissimo perdere un attimo di
tempo per l’altro, avere tempo da perdere per favorire le
relazioni, per cercarsi di più, ed evitarsi di meno. La fraternità
delle relazioni cresce se ci riconosciamo fatti per la reciprocità,
per la comunione, e per il dono. Un altro elemento costruttivo della
pace e della fraternità è la cultura dell’unità, dell’incontro,
del dialogo e delle differenze. L’altro, qualsiasi altro, è un
volto da scoprire, da contemplare, da accarezzare! Perché la
fraternità è comunione, la fraternità è condivisione. E’
condividere col fratello gioie e dolori, progetti e speranze! E’
amare le differenze che non possono dividere, ma soltanto arricchire.
Scrive Papa Francesco: “Di fronte al conflitto, alcuni
semplicemente lo guardano e vanno avanti come se nulla fosse…Altri
entrano nel conflitto in modo tale che ne rimangono prigionieri…Vi
è però un terzo modo, il più adeguato, di porsi di fronte al
conflitto. È accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e
trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo… Per
questo è necessario postulare un principio che è indispensabile per
costruire l’amicizia sociale: l’unità è superiore al conflitto
(Evangelii gaudium 227-228). Un altro luogo per la costruzione della
fraternità e della pace è il riconoscimento della dignità
dell’altro. La globalizzazione dell’indifferenza conduce al
silenzio della reciprocità, fino a favorire la cultura dello scarto.
Il valore e la dignità della persona spesso sono condizionati dal
suo stato di salute, dalle sue condizioni di efficienza e di utilità.
Secondo questa perversa logica, sarebbe da considerare solo come un
peso, un ostacolo da rimuovere, la persona che presenta i segni della
fragilità, del limite, della debolezza fisica. La falsa cultura
della produttività vuole farci credere che una vita non più in
grado di produrre, non serve a nessuno, perde ogni dignità e non
merita più né cura nè rispetto. Chi è debole può essere
spudoratamente e impunemente ignorato, svilito, anche offeso e
dimenticato, bambino o anziano che sia.La fraternità invece deve
sviluppare la solidarietà soprattutto con i più deboli, contro ogni
forma di sterile efficientismo. La fraternità si sviluppa in un
mondo di anime pure e generose, contro la menzogna del materialismo
egoistico. Antoine de St.Exupery riprendeva con forza quest’idea:
«Vivo con fatica la mia epoca. In essa l’uomo muore di sete e
non esiste al mondo un problema più grande di questo: dare agli
uomini un senso spirituale, un’inquietudine spirituale. Non si può
vivere di frigoriferi, di bilanci e di politica. Non si può! Non si
può vivere senza poesia, senza colore, senza amore. Lavorando
unicamente per acquistare dei beni materiali finiremo con il
fabbricarci una vera e propria prigione». E’ la prigione del
benessere sfrenatamente cercato, ed egoisticamente goduto. Si radica
qui l’urgenza di recuperare stili di sobrietà, frutto di
deliberata rinuncia per tutto ciò che è superfluo, e quindi
dannoso. La fraternità deve sviluppare una maggiore giustizia
sociale dove si ristabilisce un nuovo rapporto tra i più ricchi e i
meno abbienti, per evitare l’eccessiva sperequazione del reddito,
uno dei maggiori scandali della condizione economica italiana. E’
necessario che l’uomo abbia la proprietà dei beni, ma quanto
all’uso, li “possiede non solo come propri, ma anche come
comuni, nel senso che possono giovare non unicamente a lui ma anche
agli altri” (Gaudium
et spes, 69). Un altro luogo “storico”
dove spendersi per la fraternità e la pace è l’attività
politico-amministrativa. Non posso non ringraziare oggi, con il cuore
aperto e sincero, i Sindaci della Diocesi, con i quali abbiamo
condiviso un breve ma intenso tratto di strada nel segno della
reciproca e cordiale fiducia, dell’ascolto e dell’accoglienza più
che rispettosa, nel comune intento di esplorare le difficoltà e le
risorse delle nostre comunità civili e religiose, in ascolto della
voce, spesso del grido, della nostra gente. Il nuovo anno 2014 per
molti di voi, stimati Sindaci, sarà segnato anche dal rinnovo delle
cariche amministrative. Competizione intelligente o conflittualità
di bassa lega? Gli “altri” candidati non sono avversari da
combattere, ma figure con cui confrontarsi, per il bene dei
cittadini! Le rispettive “ liste” non formano un elenco di
“ricercati”, da colpire in qualunque modo. La Chiesa, maestra del
bene comune soprattutto con i grandi principi e valori della sua
Dottrina Sociale, ha sempre riconosciuto l’importanza e la dignità
dell’attività politica, necessaria al raggiungimento del fine
ultimo del vivere sociale, il progresso integrale dei singoli e delle
comunità: “La Chiesa stima degna di lode e di considerazione
l’opera di coloro che per servire gli uomini si dedicano al bene
della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità”
(Gaudium et spes, 75). Dunque la costruzione del bene comune dei
cittadini esige che qualcuno si “candidi” al servizio degli
altri, assumendo responsabilità politiche delicate, esigenti e
impegnative, particolarmente oggi. Il termine “candidato” deriva
da “candido”, perché nell’antichità gli aspiranti alle
cariche pubbliche indossavano una toga bianca, simbolo appunto di
candore, purezza, semplicità. La vostra ideale toga bianca non può
essere diversa, nel suo significato di servizio, dall’asciugamano
bianco del nostro Cenacolo, nel quale Gesù assume la posizione del
servo, prostrato ai piedi degli apostoli. Non c’è “politica”
più grande di questa! Tutti noi, impegnati in ambiti diversi, siamo
candidati al servizio, non al potere! Se noi non siamo disponibili
alla lavanda dei piedi, cioè al servizio disinteressato, la nostra
gente ha tutto il diritto di farci una lavata di testa. Il papa Paolo
VI affermava che “la politica è una maniera esigente di
vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri ”
(Octogesima adveniens, 46). Amare la Città esige la spinta di una
forte immaginazione sociale. Gli studenti del ’68 scrivevano sui
muri della Sorbona a Parigi: “L’immaginazione al potere”.
Amare è sognare una Città nuova, vivibile per tutti, attenta ai
bisogni di ciascuno per trovare ogni soluzione possibile, insieme. La
crisi economica, lunga e costosa in termini di posti di lavoro e
chiusure di imprese, e la scarsità di sovvenzioni e contributi,
rendono problematici i progetti e gli investimenti comunali. Ma non
dobbiamo dimenticare che spesso associazioni, municipalità e
parrocchie sono gli unici luoghi dove è ancora possibile imbastire
legami sociali. L’impegno intelligente e onesto di ciascuno deve
riguardare i programmi, da indicare in modo chiaro e concreto come
possibili soluzioni, o almeno miglioramenti, dei diversi problemi
della comunità civile. La giusta e necessaria competizione deve
riguardare programmi alternativi, chiari, concretamente proponibili.
Il santo Padre invita tutti i credenti alla “obiezione di coscienza
alle chiacchiere”, immaginiamo quanto sia urgente la stessa
obiezione di coscienza agli insulti, i quali non possono mai deporre
a favore di chi li provoca, né di chi li ricambia. Stimate Autorità,
Signori Sindaci, ciascuno di voi è deputato al servizio della
fraternità, convinti di dover servire l’incontro, il dialogo, lo
scambio serrato ma sempre rispettoso, il confronto leale con
chiunque. Anche voi siete i custodi di una fraternità sociale che
spesso è ferita dall’odio, dalle rivalità, dal litigio e dal
conflitto disgregante. E’ anche vostra responsabilità ottenere il
risultato di una comunità non condannata cinicamente al conflitto
sistematico, ma rifondata nel segno del rispetto e della tolleranza.
Carissimi fratelli e sorelle, siamo famiglia di Dio: condividendo
tutti l’unica paternità, quella di Dio, siamo chiamati a
riconoscere e a custodire la nostra fraternità. Il Signore
rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”.
Auguri a tutti e a
ciascuno di un anno più fraterno, per un cammino di pace che
ciascuno di noi può e deve costruire.
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