L'invio alla stampa locale da parte di Gianni Fabrizio: "Credo che sia una pagina importante della nostra storia locale per la enorme valenza culturale sociale, umana e cristiana che ha sempre rivestito il "Padre della Storia Ecclesiastica". Mi rimetto alle vostre premure affinché, se sarà pubblicata, non venga modificata o tagliata. Se ne perderebbe il senso logico e l'intreccio interno. Mi permetto di evidenziare l'originalità dell'articolo, insieme alla profonda dimensione culturale. Da parte della Stampa locale, credo, si possa bene tenere desta la memoria del nostro Cardinale per i futuri, auspicabili e positivi traguardi".
Il 30 giugno 2013 ricorre il 406° anniversario della morte del cardinale sorano
CESARE BARONIO E GIOVANNI XXIII IN “OBBEDIENZA E PACE”
di Luigi
Gulia
Si
ostinano a chiamarlo “Salleccone” (il
dialetto della carruba) il monumento a Cesare Baronio in Piazza Palestro, da
dove il Cardinale rivolge lo sguardo a Torrevecchia, l’antica sua “domus”
sorana. Opera dello scultore Pino Conte, per iniziativa dell’Unione Uomini di
Azione Cattolica sostenuta dal Vescovo Biagio Musto, fu inaugurato il 27
ottobre 1963, nell’anno dell’enciclica Pacem
in terris e della morte di Papa Giovanni XXIII. Angelo Roncalli aveva
studiato e venerato il sorano Baronio come un santo. Nel 1925 ne aveva assunto
– com’è noto – il motto «Obbedienza e Pace» nello stemma episcopale per
conservarlo fin sul soglio di Pietro. Anche Papa Francesco il 3 giugno scorso,
rievocando il cinquantesimo anniversario del transito di Papa Roncalli, si è
soffermato sul significato di quel motto. È partito dalla pace Papa Francesco, «perché – ha detto – questo è l’aspetto più
evidente, quello che la gente ha percepito in Papa Giovanni: Angelo Roncalli
era un uomo capace di trasmettere pace». E poi è passato alla seconda e decisiva
parola: obbedienza. «Se la pace è
stata la caratteristica esteriore, – ha concluso Papa Francesco – l’obbedienza ha
costituito per Roncalli la disposizione interiore: l’obbedienza, in realtà è
stata lo strumento per raggiungere la pace». Senza citarlo, Papa Francesco ha
ristabilito l’ordine di quelle due parole nell’espressione che Cesare Baronio –
“il prete scarpone”, così chiamato per via delle scarpe che in certo qual modo
rivediamo ora ai piedi di Papa Francesco – ripeteva ogni giorno nella basilica
vaticana prostrandosi davanti alla statua bronzea di san Pietro. Quel gesto non
era un ossequio formale, ma il segno del rispetto della tradizione apostolica,
il radicamento storico e sostanziale ai testimoni della prima comunità
cristiana, la volontà di far rivivere questa ispirazione evangelica negli anni
successivi al Concilio di Trento. Evento agitato dalle inquietudini luterane e
dalle rivalità di un’Europa che andava definendo e rafforzando i confini di Stati
e potenze politiche tuttora prevalenti. Evento salutare ad una riforma della
Chiesa, grazie al rinnovamento della formazione e dei costumi, alla nascita di
efficaci congregazioni religiose proiettate “ad omnes gentes” secondo il dettato evangelico, al delinearsi di
una capillare presenza e organizzazione pastorale. La vita, la penna, l’azione
di Cesare Baronio rispecchiarono gli aspetti più puri e autentici di questo
disegno di nuova evangelizzazione, interna ed esterna. La porpora e gli onori
per il suo alto impegno storiografico, universalmente riconosciuto, non
intaccarono il suo essere controcorrente rispetto a concomitanti esteriorità di
potere che furono l’altra faccia della riforma cattolica. La sua forza
interiore era stata educata dalla paternità di Filippo Neri, spirito bizzarro (secondo la definizione di Giovanni Papini) e interprete geniale della Provvidenza divina, e dal senso della
storia umana come luogo proprio della Incarnazione. Così egli traduceva in vita
vissuta il criterio della pace e della obbedienza. Quattro secoli dopo,
sperimentato quel motto da sacerdote, vescovo, diplomatico e pastore, Angelo
Roncalli assumerà il nome di Giovanni e saprà accogliere e proiettare sulla
Chiesa l’ispirazione del Concilio Ecumenico Vaticano II per suscitare un
dialogo di ascolto e di condivisione con il mondo contemporaneo.
Ai
Sorani, che siano persone di fede o solo di pace e di laboriosità, Cesare
Baronio, nel 406° anniversario della morte, avvenuta a Roma il 30 giugno 1607, rilancia
l’eredità di una partecipazione attiva alla elevazione etica e culturale della
realtà sociale, civile ed ecclesiale.
“Salleccone” sarà forse nomignolo affettuoso,
ma certamente riduttivo e inadatto. In altro scenario della città il monumento
(destinato, in origine, a Piazza S. Restituta) avrebbe maggiore respiro e lo
slancio spirituale impresso dall’artista alla figura del Baronio acquisterebbe
maggiore evidenza. Conta di più riuscire a gloriarsi di questo concittadino o
conterraneo imitando di lui l’operoso ingegno nello studio e nella scrittura, nella
preghiera, nella promozione della carità, nelle imprese d’arte, nel recupero
filologico delle antichità, nell’intessere relazioni sconfinate e innumerevoli
di cultura e di umanità.
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