Illustrissimo
Signor Sindaco, dott. Ernesto Tersigni, illustrissimi Sindaci dei
Comuni della diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo, carissimi
Sindaci dei Comuni di Castrignano del Capo e di Supersano, stimate
Autorità civili e militari, egregi rappresentanti delle Istituzioni pubbliche,
e delle Associazioni di Volontariato, Culturali, Educative,
grazie
per la cordiale e corale accoglienza, grazie per l’affetto e la stima rivolta
alla mia persona, chiamata dal S. Padre Benedetto XVI , oggi Vescovo emerito di
Roma, quale nuovo pastore di questa antica e nobile Chiesa di
Sora-Aquino-Pontecorvo. Il Sindaco di Sora ha voluto interpretare e
dare voce alla cordiale ospitalità di
tutti voi. In questa maniera inizia a spalancarsi davanti ai miei occhi, e
molto di più davanti al mio cuore di pastore, anche la realtà sociale,
politica, economica e culturale dell’intero e vasto territorio della Diocesi
che voi rappresentate.
Questa è la
Città nella quale oggi, in modo altamente significativo e
coinvolgente, faccio il mio ingresso, per abbracciare non solo Sora, ma tutti i
Comuni e le comunità parrocchiali della diocesi. Con questa vostra festosa e
gradita accoglienza intendete introdurmi e accogliermi nel cuore di ogni Città
e Paese, rendendomi già partecipe delle sorti umane e spirituali dell’intera
Comunità, e quindi delle vostre concrete
e quotidiane apprensioni e fatiche, progetti e idealità. Voi siete responsabili
della Comunità degli uomini, che il Signore chiama anche me a servire e ad
amare, con una dedizione generosa e intelligente, nella chiara consapevolezza
che la promozione e lo sviluppo integrale di ogni realtà umana, sono condizioni
necessarie per l’edificazione del Regno di Dio.
L’ingresso del nuovo
Vescovo in Città significa, pertanto, che l’azione della Chiesa, di natura sì
spirituale, ma non disincarnata dalla vita delle persone, deve incrociare le
storie concrete di tutti i fratelli e sorelle, per contaminarle felicemente con
la verità feconda del vangelo. Dunque, se il Vescovo in prima persona oggi
entra simbolicamente in Città, ciò significa che in quanto cristiani non
possiamo disinteressarci tranquillamente della cosa pubblica. Ci sta a cuore la
sorte umana e spirituale di ogni fedele e di ogni cittadino. Il Concilio
Vaticano II ha voluto riconoscere come necessario il rapporto di collaborazione
della Chiesa con la Città
degli uomini, con espressioni che non
lasciano scampo a fughe, né evasioni di sorta:
“Le gioie e le speranze, le
tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto, e di tutti
coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le
angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non
trovi eco nel loro cuore” (GS 1).
Io non
conosco ancora le difficoltà socio-economiche del nostro territorio, ma non
saranno, credo, troppo diverse, da quanto l’intero Paese sta attraversando. La
conferma, purtroppo drammatica, è data anche dalla morte di Loffredo a Isola
Liri. La domanda resta la stessa per tutti: cosa si può e si deve fare? Nei
testi del Concilio Vaticano II troviamo
parole di incoraggiamento per tutti: “… la
comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere
umano e con la sua storia” (GS 1); e ancora: “La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l'opera di coloro
che, per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono
il peso delle relative responsabilità” (GS 75).
A tutti propongo, in aggiunta, la provocazione di don
Tonino Bello, che faccio prima di tutto mia:
“Coraggio, fratelli miei, dobbiamo
uscire di più. Dobbiamo innamorarci di più della Città. Dobbiamo amare di più
le istituzioni. Dobbiamo collaborare di più con tutti coloro che nella cosa
pubblica si impegnano perché le cose vadano meglio, perché la gente sia più
felice, perché dorma tranquilla, perché abbia una casa e un lavoro, perché sia
assicurato il futuro dei giovani”.
Espressioni forti, e più che
mai attuali, che devono investire tutti i responsabili della cosa pubblica, i
pastori della Chiesa, e con loro tutti i credenti, e oserei dire anche i non
credenti, animati da buona volontà, e illuminati tutti da retta coscienza e
intelligente pensiero, per una solidale presenza sia nel cuore delle speranze,
forse poche in questo frangente storico, sia nelle molte ferite degli uomini e
delle donne d’oggi, soprattutto dei giovani, che spesso rischiano di diventare
i nuovi “poveri”.
Resta deprecabile ogni pretesa di annunciare la fede
cristiana, a prescindere dalla condizione reale della vita delle persone. E
come sarebbe possibile parlare del Vangelo a persone che non sono pacificate con
i bisogni e i diritti elementari e fondamentali della loro vita quotidiana,
nella quale risulta sempre più difficile
parlare di lavoro, di pane, di progresso, di dignità, di rispetto e di
giustizia?
Ognuno di noi, Chiesa e Società civile, ciascuno nel proprio ambito
di azione, è chiamato ad esercitare responsabilità e competenze sempre più
qualificate, che restano distinte, ma non divergenti, autonome ma non contrapposte.
Siamo tutti
consapevoli di essere al servizio delle medesime persone. I nostri fedeli sono
i vostri cittadini, pertanto unica e convinta deve essere la passione per la Città degli uomini.
Senza
dimenticare quanto afferma il Papa Paolo VI: “La politica è una maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al
servizio degli altri” (OA, 46).
Il mio entrare in Città oggi
vuole gridare la verità e l’impegno di una Chiesa che deve scegliere di stare
dalla parte dei più deboli, di vivere dentro le fragilità del mondo, per essere credibile modello di servizio a
favore dell’umanità da amare, rinnovare, redimere, salvare.
E allora la nostra
speranza di novità diventerà certezza, e potremo dimostrare che dal tronco di
questa nostra storia, sfigurata dalle molte ingiustizie, esploderanno gemme
rigonfie di vita, che preannunciano la nuova primavera del Regno di Dio.
Grazie.
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