E’ anche lui, come Marco
Lucarelli e Pierpaolo Mauti, figlio adottivo di “mamma” Argos Volley: cresciuto
tra le braccia bianconere della società volsca, Marco Corsetti è prodotto di
quel vivaio che ora brilla sotto la luce della SuperLega. Lui a Sora ha
sperimentato, è maturato, ha cambiato ruolo passando a vestire la maglia del
libero dopo un passato da attaccante. A Sora ci è tornato: una breve parentesi
fuori per poi rincasare per il salto di qualità in massima categoria
nazionale e ascrivere il suo nome sui referti di gara della Biosì Indexa. Ed ora è proprio il giovane atleta di Frosinone – classe ’94 – a raccontarsi.
nazionale e ascrivere il suo nome sui referti di gara della Biosì Indexa. Ed ora è proprio il giovane atleta di Frosinone – classe ’94 – a raccontarsi.
Chi è Marco Corsetti?
Come si è avvicinato alla pallavolo?
“Marco Corsetti è un
ragazzo di Frosinone che ha iniziato a giocare, quasi per caso, nella piccola
società dello zio. All'inizio non mi piaceva molto il volley, ma pian
piano mi sono appassionato tanto da renderlo parte integrante della mia vita.
Sono stato coinvolto nella squadra della scuola quando ero in terza media, raggiungendo,
per la prima volta a Frosinone, le finali nazionali. Questo mi ha fatto capire
che avevo possibilità in questo sport. Così tanto io quanto i miei genitori
abbiamo investito molto, viaggiando anche quando ce n'era bisogno per le
selezioni regionali e provinciali”.
Da schiacciatore hai
cambiato il tuo ruolo in libero, raccontaci questo passaggio.
“Ho sempre giocato da schiacciatore fino in serie B, categoria dove
ancora potrei ricoprire quel ruolo. Per fare un ulteriore salto di qualità, ho
scelto di accettare questa proposta che mi veniva fatta dalla società cambiando
veste e indossando la casacca del libero, per ambire così anche a palcoscenici
più importanti”.
Nella tua esperienza lontano dalla città volsca, come ti sei trovato?
“Lontano da Sora ho trovato una società che mi ha accolto a braccia
aperte e ragazzi fantastici con i quali sono ancora in contatto, sono stato
molto bene. L'ambiente mi è piaciuto, era pieno di passione soprattutto per la
pallavolo; giù ad Andria si sente particolarmente l'affetto del pubblico per
questo sport, ma l’aria di casa è sempre l’aria di casa e nessuno può occuparne
il posto”.
Com’è vivere la massima serie nazionale per un giovane come te?
“Sicuramente le emozioni della SuperLega sono importanti. E' la prima volta
per me ed è come se fosse un'A2 al quadrato. Io ce la metto tutta, mi alleno al
massimo delle mie possibilità e voglio farmi trovare pronto qualora ce ne fosse
l’occasione”.
C’è una figura a cui ti ispiri professionalmente?
“Professionalmente la mia fonte di ispirazione è Grevennikov, anche
perché al momento mi sento più portato in difesa che in ricezione. Nel mio
piccolo, però, cerco di prendere il maggior spunto possibile da Santucci, con
cui parlo spesso e che mi consiglia al meglio”.
“Dai compagni più esperti sto cercando di apprendere tutto, ascoltando
ogni consiglio ed assorbendolo come una spugna. Penso di poter contribuire
all'economia della formazione allenandomi bene, così da aiutare il sestetto che
scende in campo. Quando poi il coach mi schiererà, cercherò di dare il massimo
seppure le chance non siano moltissime”.
Come immagini il tuo futuro professionale?
“Non ho un’idea di me tra qualche anno, ma so che molto dipenderà dalle
evoluzioni nel breve termine. Io nel frattempo studio anche scienze motorie, mi
lascio più chance all’orizzonte, anche se, ovviamente, spero di continuare con
la pallavolo a livello professionale”.
Hai un soprannome?
“Soltanto “Cors”, l’abbreviazione del mio cognome. Mi chiamano da
sempre così”.
Sei scaramantico?
“Sono scaramantico, ho i miei rituali e le mie cose; quando siamo nel
quadrato durante la partita, ad esempio, se sta andando bene cerchiamo di
mantenere le nostre posizioni, poi quando le cose cominciano ad andare male ci
scambiamo di posto come se, di conseguenza, potessimo invertire la rotta!
Diciamo che, proprio come tutti gli sportivi, qualche fissa del genere mi
appartiene!”
* Cristina Lucarelli
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