CAPITAN SCOTT: “In tutta la mia carriera pallavolistica non ho mai
preso un cartellino!”
Dopo l'infortunio a Giuseppe
Patriarca, Francesco Fortunato è stato chiamato a ricoprire l'importante ruolo
di capitano della Globo Banca Popolare del Frusinate Sora e ha risposto
magnificamente all'incarico assegnatoli raccogliendo i gradi di Patriarca e
usandoli nel miglior modo possibile. Come si è potuto vedere in
questi giorni, Scott è ascoltato e rispettato da tutti i suoi compagni
diventando da subito il capitano perfetto per gli allenatori, per la squadra e
per tutto lo staff tecnico che lavora gomito a gomito con lui.
“Il capitano resta sempre e
comunque il nostro Giuseppe Patriarca, - ci dice con fermezza Fortunato -. La
sua assenza si sente: si avverte in campo, nello spogliatoi e in gara quindi
come uomo, come compagno e come atleta. Manca Giuseppe e purtroppo continuerà a
mancare ancora per un po di tempo. Io sono felice di aver preso questa eredità
che resta comunque un suo onere e un suo onore”.
Cosa significa essere
capitano?
“Vuol dire avere delle
responsabilità ed è una cosa che mi piace. In generale sono sempre contento
quando mi vengono affidate delle responsabilità, poi se arrivano sul lavoro è
motivo di orgoglio maggiore perché vuol dire che c'è fiducia nella mia persona
e nel mio operato. È bello essere l'uomo giusto e non capita spesso”.
Quali sono le maggiori
responsabilità di un capitano?
“Il capitano deve essere
capace di dire la parola giusta al momento giusto in tutte le situazioni sia
singole, quindi a tu per tu con un arbitro o a quattr'occhi con un compagno,
sia di gruppo. E avere poi la sensibilità e l'onestà di capire quando c'è la
necessità di dare un po di bastone e quando la carota”.
Con questo nuovo incarico è
cambiato qualcos'altro oltre all'aumentare delle responsabilità?
“Rispetto al mio modo di
essere, di rapportarmi con i compagni in palestra, in campo, in allenamento o
in gara, resto comunque quello che sono. Il fatto di essere capitano non mi ha
fatto cambiare atteggiamento dall'oggi al domani, cerco come sempre di dare dei
consigli costruttivi. Se c'è da riprendere qualcuno per qualsiasi motivo
inseguo sempre il modo migliore di farlo, se poi riesco a toccare il tasto
giusto facendo scattare la reazione giusta, sono il primo a esserne contento.
So comunque che lo faccio sempre con affetto e con tantissima voglia di
trasmettere agli altri senza presunzione quello che tanti anni di pallavolo mi
hanno insegnato”.
Che capitano sei?
“Questo bisognerebbe
chiederlo alla squadra. Io cerco di fare il mio dovere, il dovere del capitano
nel miglior modo possibile. Ripensando al mio comportamento in questi giorni da
caposquadra, vedo un buon capitano; a me piacerebbe avere un capitano come me.
È palese anche però, che rispetto a Patriarca alle volte sono più sensibile,
lui ha dei modi più diretti rispetto a quelli che posso avere io e come è
normale che sia, non esiste un atteggiamento migliore tra i due, ci saranno
sicuramente persone con le quali è consigliabile comportarsi in un modo
piuttosto che in un altro”.
Com'è vincere una partita da
capitano?
“La gioia è sempre la stessa
e anche il peso della responsabilità, l'importante sarebbe vincere sempre sia
quando si è capitano che non. Sicuramente il peso della responsabilità cambia
quando ci sono delle palle da contestare e sai che la tua parola conta il
doppio o forse è l'unica a contare e quindi cerchi sempre di essere il più
diplomatico possibile nei confronti dell'arbitro, anche se è veramente
difficile. I miei colloqui con i direttori di gara non sono mai stati
impulsivi, vado da loro cercando di essere il più educato e diplomatico
possibile, ragiono su quello che c'è da dire ma comunque espongo sempre tutti i
miei dubbi, le mie perplessità e soprattutto le mie ragioni e quando ce l'ho,
esprimo anche la mia opinione personale sul loro operato. In una delle partite
che ho giocato da capitano, che per ovvi motivi non vi dirò quale sia, quando
ho stretto la mano ai direttori di gara al termine del match, oltre a
ringraziarli per il lavoro svolto ho sottolineato quanto questo sia stato carente.
Perché io credo che se il giudice di gara chiama out un attacco chiuso
nettamente in campo e poi compensa giudicando out una battuta dell'altra
squadra che non lo era, questa per me non è compensazione, ma è commettere due
errori. In questo caso dico tranquillamente che l'arbitro è scarso. Per onor di
cronaca e a riprova di quanto detto fin'ora, devo confessarvi che in tutta la
mia carriera pallavolistica non ho mai preso un cartellino!”.
* Sora 20 novembre 2012. Carla De Caris – Responsabile Uff. Stampa Globo Banca Popolare del Frusinate Sora.
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