1.4.22

INAUGURA QUESTO POMERIGGIO LA MOSTRA D'ARTE DI FRANCO BIANCHI POTECA

Mostra d'Arte di Franco Bianchi Poteca aperta fino al 10 aprile 2022

Inaugurazione venerdì 1 aprile ore 17.00, presso il Teatro Stabile Comunale "C. Costantini" La mostra resterà aperta fino al 10 aprile e visitabile dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 19.30.

Sergio Proia, scrittore e autore di poesia dialettale, appassionato di archeologia, storia e tradizioni locali, inoltre è membro del Consiglio Direttivo del Centro Studi, Ricerche e Documentazione “Marcello Mastroianni”, che ha sede a Fontana Liri, ci ricorda sul suo profilo social con la foto allegata (in alto) l'inaugurazione della mostra di questo pomeriggio di Franco Bianchi Poteca ad Isola del Liri.

Oggi pomeriggio alle ore 17.00 presso il Teatro Stabile di Isola del Liri si svolgerà l’inaugurazione della mostra di Franco Bianchi Poteca

Franco Bianchi-Poteca, architetto e docente di Storia dell’Arte, si misura con l’arte della pittura fin dalla giovinezza. L’esposizione realizzata con il patrocinio dall’Ente Comunale e dalla Pro Loco di Isola del Liri è un evento del tutto inconsueto, in quanto l’artista - architetto abitualmente svolge il suo lavoro artistico fuori dai confini provinciali. 

I suoi lavori, più di trenta opere, tra dipinti, installazioni, sculture e scritti sono esposti nell’ampio spazio del Teatro Stabile Comunale di Isola del Liri in notevole mostra personale. L’artista ciociaro, ha iniziato sotto la guida del padre, Giovanni Bianchi “Poteca” (nome d’arte che ha fatto anche suo) applicandosi nell’apprendere le tecniche pittoriche e plastiche, ma negli anni, con la maturità e la deformazione professionale dell’architetto, ha sempre più, saggiato l’arte in molti altri campi affini. Indubbiamente il colore, il disegno e la scultura sono la sua prima anima anche se negli ultimi anni, ha prodotto tante altre opere: sculture, installazioni, scritti, scenografie. 

Le fasi del lavoro artistico di Franco Bianchi come in effetti confermano anche gli “esperti” sono sostanzialmente tre. Le opere lungo l’arco degli anni ottanta-novanta testimoniano una tendenza al ruvido, al complesso, all’eccessivo senz‘altro attinto dalle tele di Bacon. La tendenza a scomporre la superficie in varie sezioni in questi anni è già evidente. Le tele sono riempite con una serie di immagini – prova recuperate dall’informale, studiato in chiave neo-divisionista e simbolista che si accentua negli anni novanta evolvendosi in una tematica più intimista e lirica. 

Essendo architetto di professione sicuramente la pulizia, l’assenza di sbavature nei lavori degli anni successivi sono certo indici di un controllo esecutivo più misurato, anche se vi è di fondo un intreccio di idee e un complesso di suggestioni che lo stesso segno riesce a stento a contenere. Forse è proprio questo il nodo dal quale si diramano i lavori del nuovo millennio fatti di contrasti e accostamenti che coinvolgono ogni elemento dell’opera, dal supporto ai segni, dai formati alle cornici, dalle campiture di colore alle forme, dai mezzi pittorici ai materiali applicati. Con l’assemblaggio di più tele di grande formato, e di per sé autonome, realizza ampi polittici composti secondo una logica di continuità tra i vari pezzi: bande di colore, segni grafici, planimetrie ignote, che si ricompongono in una struttura che, obbedisce al controllo ed alla forma mentis dell’architetto costruttore. E’ allora ecco che il simbolismo seriale, già evidente nei decenni precedenti con le figure degli uccelli-pappagalli- , diventano vere scenografie simboliche piccole e grandi installazioni che ricordano sculture totemiche. 

Il progetto visivo delle sue opere è in genere semplice: oggetti ordinari, disposti e strutturati o realizzazioni di improbabili architetture. Credo che invece la lettura metaforica sia più vasta, il percorso concettuale è spesso documentato, con piccoli scritti, con manoscritti aggiuntivi. Si tratta di integrazioni, in genere, che elaborate sulla base di rapidi schizzi, intensi, incisivi, sintetizzati in un quadro mentale più articolato, non immediatamente decifrabile. L’attitudine a smembrare il piano pittorico torna d’attualità negli ultimi anni, il segno risulta meno euforico e il racconto, seppur informale è incorniciato da cromie più chiare, bianchi, azzurri, sfumature, velature. Pochi ma efficaci gli assoli cromatici. Un concetto, nelle recenti opere, che a volte tanto assomiglia all’acqua, la pittura risulta trasparente, luminosa. 

In questo modo lo "specchio" di Franco Bianchi Poteca diviene strumento di conoscenza. Il risultato, "l’oggetto-ponte” fra realtà e fantasia, mezzo magico d’indagine dell’oltre e allegoria del nostro conoscere. E’ questo il percorso scarcerato da ogni impedimento reale che vince, si afferma e si mostra . Nel bene e nel male. Come sempre in ogni storia che tratti di Arte. Franco Bianchi Poteca.

BREVE BIOGRAFIA

Franco Bianchi-Poteca è architetto e docente di Storia dell’Arte. Inizia giovanissimo a dipingere . A partire dagli anni 70/ 80 ha già al suo attivo numerose mostre personali e collettive. Negli ultimi anni ha esposto : /2013-Spazio Comel -Latina/2013-Fondazione Moderni - Roma/2017 – “La Dama e Il Libro” Palazzo della Provincia di Frosinone /2018 – Art Expo-New York/2018 – Art Nordic-Copenaghen/-2018-Brik Lane Gallery-Londra /2018-Biennale del Tirreno – Cava dei Tirreni -Salerno/2018 – Salon Internazional d’Art Contemporanin -Cannes/2018-Arte Milano -The Factory - Milano/2018-Arte Ingegno-Arcadia ArtGallery Milano/2020–Ministry of Culture Cultural Centre-Umm AL Quwain / Al Fahidi Cultural Centre-Dubai/2020 –“Vieni” Installazione intitolata a M.Mastroianni a cura del Comune di Fontana Liri - Regione Lazio/2022 – Salon Internazional d’Art Contemporanin 3F - Parigi. Franco Bianchi-Poteca inoltre vanta molteplici lavori per conto di Enti pubblici, attività nel campo della scenografia, architettura, scritti, lavori di design e opere scultoree in bronzo.

SAGGIO CRITICO DI PREFAZIONE DEL CATALOGO
A CURA DEL PROF. Marcello Carlino

Il percorso dell’arte di Franco Bianchi Poteca, tra pittura e scultura, sembra potersi ricapitolare, finora, in una sequenza di tre tappe, quantunque sia necessaria l’avvertenza che le vicende della ricerca artistica non si svolgono mai lineari e progressive, ma contengono per contro, statutariamente, diramazioni, soste, ritorni, riprese.

Nelle opere appare di sicura evidenza che tracce di Bacon e del suo espressionismo astratto sono dapprincipio rimarchevoli: le figure umane e, segnatamente, i loro volti rompono gli argini della definizione formale e si scompongono, si frammentano, si suddividono in disordinate particole: ciò che è racchiuso nel loro tronco e fra le ossa del capo, ciò che è dentro – e che per tanto simbolicamente apparterrebbe ai domini della interiorità – fuoriesce come materia disarticolata e inorganica, dai colori mineralizzati, translucidi. Il personaggio-uomo non regge, vacilla, colpito si perde; la frana dall’interno all’esterno, che accumula corpuscoli refrattari, non sembra avere arresto, anche perché l’allestimento della scatola scenica d’ambiente concede sovrapposizioni di piani, torsioni, slittamenti come sotto effetto di onde di propagazione che non hanno soluzioni di continuità o sotto gli scotimenti di uno sciame sismico che perdura. Non possono escludersi, nei quadri di rappresentazione, incipitarie mosse di dramma, alla maniera di Bacon, che esprimeva solitudine, incomunicabilità, male di vivere; epperò non è arbitrario ipotizzare che dalla testa del personaggio alla ribalta si riversino dinanzi a chi guarda tessere di un puzzle da montare, pezzi di un gioco di costruzioni, elementi che rinviano all’arte come finissimo esercizio di piacere della esperienza e della conoscenza, come libertà al di là del troppo umano, in salvo dalle pastoie che costringono e intristiscono il principio di realtà. Quasi che la craniotomia operata lasciasse esondare il represso, fluire il rimosso che si legano alla verità profonda dell’uomo e dell’arte.

Non a caso di fianco ad una sagoma d’uomo come decapitato, sta un uccello fatto della stessa materia/colore esondata dai recessi del corpo, un patchwork in corpo di volatile, un assemblaggio arlecchinesco felicemente variopinto.

Parte così la seconda tappa dell’itinerario di sperimentazione di Franco Bianchi Poteca. Ad avervi un ruolo di primissimo piano sono gli uccelli, appunto. Bianchi, bruni o iridati, stanno – per riposarsi dopo il volo o per carburarsi prima del volo – in assolo o in coro, poggiati su un trespolo o distribuiti in ordine su di un attaccapanni, fermi sulla cuspide di una colonna da stilita o assorti forse pregustando una macedonia di frutta. E mentre dalla bidimensionalità della tela si trascorre alla tridimensionalità della scultura (una scultura-ambiente) e della installazione (che non manca di un movente ecologico), tutt’intorno a loro fioriscono figurazioni di sapore etno-antropologico, ora maschere ora totem ora fantasime da festa contadina, ora simboliche materializzazioni di fertilità e di abbondanza ora emblemi di magici riti propiziatori, ora tappeti esotici di filatura salgariana con sentinelle animali e con sorprese: fioriscono e si stilizzano spesso prendendo di legno. Un mondo altro e visionario, portato dalla fantasia e dall’immaginazione, stipato di luoghi del meraviglioso popolare alla maniera surrealista, si schiude affacciandosi sul piacere del testo di barthesiana memoria e promuovendo l’impareggiabile arte rigogliosa del gioco (e pure l’arte sopraffina dell’ironia, considerato che spesso sono “vintage” e sanno di riciclo le forme primitive appena sbozzate e gli stili della composizione plastica): è un mondo che vola. Finché il volo si fa assoluto.

A battere le ali è un filo di colore sulla superficie della tela, come su di una pista di decollo indicata da un semplice segnale in aggetto (una sorta di gnomone misuratore del tempo) ovvero tracciata da un ventaglio di minuscole orme, che instradano sembrando rimbalzare da Mirò.

L’informale, che stavolta accompagna il viaggio di ricerca, punta verso un altro pianeta (pare aversene una carta geografica con i suoi rilievi), circondato dal bianco di una nuova aria, pulita: un pianeta azzurro distante anni luce di una ritrovata sintonia con l’universo.

È la terza tappa di un percorso non rettilineo né pienamente preventivabile, diramato invece, animato pure da assaggi, da diversioni, da prove, da soste, da ritorni, da riprese: il percorso di Franco Bianchi Poteca, quello di ogni libera avventura dell’arte.

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