Mons. Bruno Antonellis:”Cerchiamo di riprendere e
mantenere quella solenne promessa”
di Gianni Fabrizio
Mons. Bruno Antonellis, preposto della parrocchia di S.
Restituta, ha voluto attingere dalla sua memoria un singolare spaccato di
storia sorana. Oggi sono in pochi a conoscere quei momenti tragici e terribili che Sora fu costretta a vivere, sotto
l’occupazione nazista, durante l’ultima guerra, ma è bene che ora diventi patrimonio di tutti.
A
mons. Bruno Antonellis lo ha riferito l’indimenticato don Ottavio Scaccia che
ne pubblicò sul mensile “Vita Sorana” nel 1994, i contorni drammatici, da lui
vissuti come testimone diretto. È una
storia accaduta sessantanove anni fa.
Siamo agli sgoccioli della guerra, nel 1943. “Quell’otto dicembre, era di
mercoledì. Sora ricorda la solennità
dell’Immacolata Concezione. Nella chiesa di S. Restituta si è riversata una
moltitudine imponente di fedeli, in risposta all’appuntamento che il vescovo
dell’epoca, mons. Michele Fontevecchia, con il podestà, ing. Camillo Marsella,
hanno dato ai cittadini. Nella chiesa, riferisce don Bruno ricordando il
racconto di don Ottavio Scaccia, si respira un’aria pesante fatta di paura
incontrollabile, mista a speranza accorata, tenuta viva da una fede che invita
i cuori di tutti a chiedere aiuto che solo dall’Alto può venire a conforto e
sollievo di chi si sente avvinto dalle spire della disperazione. Gli
avvenimenti sono precipitati, la guerra sta divorando paesi e città con i loro
abitanti. Non servono i malsicuri rifugi ricavati in cantine e sotterranei che
il più delle volte si trasformano in una tomba dalle macerie degli edifici
crollati sotto i bombardamenti. I sorani , come tutti gli italiani, dopo
l’armistizio dell’otto settembre, avevano dapprima sperato in una rapida fine
dei combattimenti e poi avevano confidato in una travolgente avanzata delle
truppe alleate che li avrebbe liberati da tutte le paure. I tedeschi, che
avevano approntato difese insormontabili, avevano trasformato Sora in un grande
ospedale da campo, con enormi croci rosse dipinte sui tetti della Casa della
GIL, in Via Sferracavallo, di Villa Angelina, del Seminario e della
vecchia sede in Via Napoli dell’Istituto Tecnico “C. Baronio”. Per la Città era
un continuo passaggio di autocarri, ma non solo quelli con i tendoni della
croce rossa; colonne interminabili trasportavano truppe e materiale di
rifornimenti di ogni tipo. I sorani vivevano con un misto di paura, di speranza
e di curiosità. Le notizie di Radio Londra rimbalzavano di bocca in bocca e
tutti si interrogavano su come sarebbe andata a finire. La curiosità ebbe
termine nella mattinata di giovedì 28 ottobre, che seminò il terrore nella
Città e gettò nella costernazione decine di famiglie. Mentre gruppi di persone
stazionavano, qua e là, in Piazza S. Restituta e nelle strade adiacenti,
scambiandosi saluti e notizie, alcuni camion tedeschi da Piazza Indipendenza
imboccarono il Corso Volsci e si avviarono lentamente verso il centro. Giunti
all’altezza di Piazza S. Restituta, gruppi di militari motociclisti bloccarono
il Corso e le vie laterali e con urla e
spintoni, con le armi in pugno, costrinsero gli uomini validi a salire sui
camion: una vera retata. Don Ottavio Scaccia fu un testimone diretto di
quell’evento e vide Gino Gulia preso di forza e scaraventato sul camion con
altri uomini”.
Mons. Bruno Antonellis aggiunge ancora: ”Tra gli altri, si seppe che
erano stati presi anche Nicola Tersigni,
Ettore Rosati e Vincenzo Lauri. Grida, urla, imprecazioni, tumulti, qualcuno si attaccava ai camion per tirare giù i
propri cari; ed ecco le odiose minacce dei famigerati e violenti soldati
tedeschi. Infine una fuga precipitosa, mentre Sora diventava un deserto. Mons.
Michele Fontevecchia colse l’invocazione muta e lacerante, che saliva dall’anima
della Città, di affidare ai Santi Protettori la salvezza di tutti. Camillo
Marsella aderì subito all’iniziativa del vescovo. Ed ecco la chiesa di S.
Restituta accogliere una folla in preghiera, prostrata nell’angoscia, ma
fiduciosa nella protezione divina. All’omelia le parole del vescovo scossero i cuori di tutti che trepidanti e
commossi, ripetettero la formula della solenne promessa, pronunciata dal
presule ”di ricordare, per dieci anni consecutivi, con una giornata di preghiera e di digiuno, il giorno
dell’anniversario della liberazione di Sora, se questa fosse uscita salva dal
passaggio della guerra e della barbarie
nazista”. Dopo cinque mesi e mezzo arrivò il giorno lungamente atteso,
proprio nell’occasione della festa di S. Restituta. L’anno dopo, nel maggio del
1945, i sacerdoti di Sora ricordarono ai fedeli la solenne promessa ed
invitarono i cittadini all’adempimento dell’impegno preso. Ma non ci furono
iniziative comuni e l’osservanza della promessa fu lasciata alla coscienza dei
singoli. Dal 1946 solo qualche voce isolata la ricordò, ma la quasi totalità
dei cittadini aveva dimenticato tutto”.
Mons. Bruno Antonellis riporta ancora le parole di don Ottavio Scaccia che scrisse: ”Don Ciccio Biancale, il poeta cantore
appassionato dell’anima sorana, ha saputo cogliere questo aspetto e, per
un’altra vicenda, ha osservato con tristezza:”Tutt’era scurte: e Sora
scurdarella / repegliaua la uita ‘e mill’anne; / le uggilie, le feste…ogne
malanne/ èua passate ‘nche ‘na resatella…”.
Maggio 2013: saranno trascorsi
70 anni dalla fine di quell’incubo, con l’arrivo dei neozelandesi a liberare
Sora. Si può fare qualcosa, e in tempo,
per mantenere fede a quella promessa? Magari nei termini e nei modi in
linea con i tempi attuali. Si potrebbe
pensare ad invitare a Sora anche l’ambasciatore della Nuova Zelanda: un gesto per rivolgergli
un doveroso “grazie”.
Don Ottavio Scaccia scrisse pure: ”Meminise iuvabit…il
ricordo farà del bene…. Lo ammoniva Virgilio venti secoli or sono. Perché non
dovrebbe essere così anche per Sora?”. Il consiglio di mons. Bruno
Antonellis andrebbe seguito. Diamogli
retta.
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