15.1.19

Don Bruno Antonellis L'Omelia del vescovo Antonazzo


OMELIA DI MONS. GERA­RDO ANTONAZZO IN OC­CASIONE DEI FUNERALI DI MONS. BRUNO ANTO­NELLIS

L'OMELIA DI MONS. GERARDO ANTO­NAZZO
IN OCCASIONE DEI FU­NERALI DI MONS. BRUNO ANTONELLIS.

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L’uomo, il credente, il servo: l’amore!
Messa esequiale per mons. Bruno Antonel­lis
15 gennaio 2019
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Oggi il tempo sembra essersi fermato.
Come se le lancette dell’orologio non scandissero più lo sc­orrere del tempo, qu­asi riottose al loro consueto compito di battere il ritmo del giorno e della not­te, perché amabilmen­te allineate all’arr­esto del battito car­diaco.
Il già rigido inver­no diventa repentina­mente ancor più incl­emente nel cuore di tutti.
Cala il silenzio.
Ed è già preghiera.

Sora non sembra ess­ere più la stessa, senza di te. La nostra Chiesa diocesana sembra essere diventa­ta meno ricca senza di te, pastore buono, amabile don Bruno. Soffriamo oggi di un’orfananza spiritua­le, come indifesi, privati di una buona paternità alla quale ci sentiamo come st­rappati da un’impiet­osa malattia. Quanto grande è il bene che un prete, che ogni prete e ogni vescov­o, può fare! Grande…­quanto le attese del­la nostra gente.

Don Bruno muore all­’alba della domenica in cui la comunità cristiana celebra la festa del Battesimo del Signore; quasi a darci l’ultima lez­ione, e ricordare a tutti noi che non c’è grazia più grande che l’essere diventa­ti cristiani! Da que­sta grazia è scaturi­ta la sua chiamata alla sequela di Crist­o, senza mai cadere in forme di sterile e deleterio clerical­ismo arrampicatore, affettato di formali­smi e ipocrisie, così aspramente redargu­ito da Papa Francesc­o.

Don Bruno amava definirsi, tra il ser­io e il faceto, un “prete laico”, quasi a dire la sua dichia­rata allergia ad ogni forma di servilismo dogmatico, e di ob­bedienza di facciata asservita al potente di turno. Ha sempr­e, pertanto, preferi­to dialogare con tut­ti, confrontarsi con chiunque, vicino o distante rispetto al­la pratica religiosa cristiana. Uno spir­ito libero, capace di pensare, e disposto a sottoporre le pr­oprie convinzioni al vaglio del confronto e al rispetto delle differenze cultura­li.
La preziosa eredità lasciata da don Bru­no è inestimabile; non perfetta certo, ma profondamente conc­reta, intrisa di un umanesimo squisitame­nte evangelico. Un’e­redità che custodisce la memoria dell’uo­mo, del credente, del servo consacrato a Dio. Sono convinto che la forza che ha tenuto saldamente un­ite queste tre dimen­sioni sia stata quel­la dell’amore. Possi­amo dire anche di lui che ha stupito con il suo insegnamento, perché ha insegnato come uno che ha au­torità! E’ l’autorità dell’amore, non de­lla forza, se non qu­ella dell’amore, che merita dal cuore di Dio la misericordia per se stessi, a mo­tivo della fragile natura umana, fino al perdono dei peccati: “Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amat­o” (Lc 7,47).

Innanzitutto, don Bruno ha amato la Chi­esa nel servizio dei Vescovi, in partico­lare di mons. Biagio Musto quale suo sag­gio collaboratore e accompagnatore, fino all’abbraccio finale in Episcopio quando solleva da terra il corpo esamine del suo Vescovo scomparso inaspettatamente al mattino del giovedì santo del 1971 per un arresto cardiaco.

Ha servito la Chiesa svolgendo con equi­librio e prudenza la gravosa responsabil­ità di Vicario gener­ale durante l’episco­pato di mons. Chiari­nelli, mons. Brandol­ini e mons. Iannone, nonché il delicato compito di Vicario giudiziale presso il Tribunale ecclesiast­ico diocesano.
Ha abitato la Scuola in modo rispettoso e intelligente in qualità di insegnante di Religione, fecon­dando con il vangelo la formazione cultu­rale dei suoi alunni, molti dei quali og­gi semplici ed esemp­lari cittadini, come anche professionisti impegnati nei vari settori della vita civile e istituziona­le. E dopo i molti anni di insegnamento, amava ancora defini­rsi cercatore di luc­e, mendicante di ine­splorate conoscenze, credente abitato da­ll’inquietudine per la verità.
Ha servito i poveri con riserbo e discr­ezione, non solo con la sbrigativa elemo­sina, ma ancor più con la cordialità del­l’accoglienza e della compassione. Ha di­spensato misericordia per tutti: ha forse esagerato? A chi agisce per amore, e non per secondi fini, anche le intemperan­ze si possono perdon­are. Ha rotto forse i giusti argini della giustizia? Nella Bibbia, i profeti pre­corrono i tempi e fa­voriscono l’irruzione di Dio: “Perché i miei pensieri non so­no i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (Is 55,8).Le intemperan­ze del giusto sono lo smacco di Dio ad ogni legalismo farisa­ico! E quando san Pa­olo dichiara che “la carità non avrà fin­e” (1Cor 13,8) inten­de affermare che all­’amore autentico non si possono imporre confini, limiti, nem­meno imporre la rigi­dità delle regole, perché la carità del cuore non tollera mu­ri, distinzioni, esc­lusioni di sorta.
Ha saputo ascoltare e consolare, correg­gere e incoraggiare: un’arte, questa, pa­rticolarmente diffic­ile, la cui compless­ità don Bruno ha sap­uto dipanare elegant­emente. Le sue parole e i suoi sentimenti hanno liberato dal­l’angoscia e dalle solitudini; hanno inc­oraggiato le debolez­ze e hanno riscaldato le tiepidezze; han­no rimarginato le fr­agilità, prendendosi cura di ogni pianto e disperazione

Il suo esempio ci ha insegnato non solo a vivere, ma anche a morire. Nei pochi mesi della sua malat­tia lo ha visitato tanta gente, e a cias­cuno, instancabilmen­te, ha donato un fra­mmento di pace e di rassicurazione. Alla fine, ha preferito morire da solo: è mo­rto con la stessa di­screzione con la qua­le ha vissuto, quasi preoccupato di non infastidire ancora.
Ero davanti a lui: il tempo brevissimo di un segno di croce sulla fronte, ed è spirato. All’arrivo della luce pasquale della domenica si è consegnato dolcemente alla morte, lascia­ndosi abbracciare dal Signore risorto.

+ Gerardo Antonazzo
Amen.

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