L'Omelia
di Mons. Antonio Lecce per la ricorrenza del Patrono della
Polizia Locale.
Si trasmette l'omelia pronunciata dall'Amministratore
Diocesano, mons. Antonio Lecce, nella chiesa di S. Restituta sabato 19 gennaio
2013, in occasione della festività di S. Sebastiano, patrono della Polizia
Locale. *
A Sora nella chiesa di S.
Restituta il 19 gennaio. L’omelia di
mons Antonio Lecce per la ricorrenza di S. Sebastiano. La 4a Festa intercomunale della Polizia Locale.
“E’
necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio”. Con questa
citazione presa dagli Atti degli Apostoli Sant’Ambrogio
introduce il discorso su San Sebastiano nel Commento sul salmo 118, uno degli scritti più importanti del santo
Vescovo di Milano. E proprio da Sant’Ambrogio abbiamo le poche notizie certe
sul Santo martire.
Nacque a Milano, dove non si era ancora scatenata la feroce
persecuzione contro i cristiani voluta dall’Imperatore Diocleziano e si
trasferì a Roma, dove subì il martirio, cioè “ebbe la sua corona, meritando il
domicilio dell’immortalità eterna là dove era giunto come ospite”, commenta
sempre Sant’Ambrogio. La notizia sulla sua appartenenza alla guardia imperiale
di Diocleziano lo ha fatto scegliere come Patrono della Polizia Locale, ed è il
motivo per cui il Sindaco e il Comandante di Sora ci hanno invitato a
partecipare alla quarta edizione della commemorazione intercomunale di San
Sebastiano Martire. E’ bello che gli appartenenti alla Polizia Locale di
diverse città della nostra provincia, almeno per un giorno, mettendo in sordina
il ruolo ufficiale, si ritrovino per un momento di festa e anche di preghiera. Abbiamo
menzionato Diocleziano e la più sanguinosa persecuzione anticristiana che porta
il suo nome, e dobbiamo anche ricordare che il 13 gennaio c’è stata la
commemorazione del 1.700° anniversario dell’Editto
di Milano, quando l’imperatore Costantino diede libertà di religione anche
ai cristiani. Dobbiamo ricordare questo evento, perché anche oggi per i
cristiani in tante parti del mondo la professione della fede cristiana espone
al rischio della vita.
I mass media troppo
di frequente ci parlano di cristiani che
vanno alla Messa della Domenica e si trovano in mezzo alle bombe. La libertà
religiosa è uno dei diritti fondamentali delle persone e delle comunità, ripete
continuamente Papa Benedetto XVI, perché professare la fede è un
fatto che non riguarda solo l’intimo sacrario della coscienza, ma che riguarda
anche il poter liberamente associarsi e portare nella società i fermenti del
proprio convincimento religioso. Siamo tutti caldamente invitati a rivisitare,
per rinnovarli e viverli in pienezza, i
fondamenti della fede cristiana, proprio in quest’anno che il Papa ha chiamato
“Anno della fede”. E chi più dei
martiri può essere nostro modello e ispiratore? Ricordo il viaggio in Albania di
molti anni fa, quando era appena crollata quella feroce dittatura che aveva
portato, unico stato al mondo, a proibire nella Costituzione anche solo
nominare Dio. Con un gruppo di amici vescovi e sacerdoti siamo andati ad un incontro con alcuni testimoni usciti dalla
persecuzione, e abbiamo fatto il paragone tra la nostra Chiesa italiana,
rinnovatasi dopo il Concilio Vaticano II, e quella albanese, rimasta alle
vecchie tradizioni pre-conciliari. Ma abbiamo smesso subito di criticare e fare
rilievi, dinanzi alla semplice costatazione che quella Chiesa vecchia e
arretrata è Chiesa di martiri, mentre la nostra…. !
Rimaniamo ancora per un po’ a considerare le
esigenze della vera fede, prendendo spunto dalla prima lettura della Messa di
oggi, la citazione del profeta Michea. E’ lo stesso passo biblico che viene
meditato da tutti i cristiani in questi giorni della Settimana di preghiere per l’unità, in corso di svolgimento dal 18
al 25 gennaio. La situazione descritta dal profeta mi fa pensare a quella di
qualcuno che non comprende bene la sua responsabilità e immagina che si tratta
di una cosa molto complicata e difficile, quando in realtà è qualcosa di molto
semplice e liberante. Sì, proprio liberante! Molte volte si crede che, in nome
della religione, Dio abbia stabilito una vita complicata con tante regole molto
difficili da capire e da vivere. Per molti la vita cristiana sembra pesante, e,
spesso, anziché gioia, procura paura, confusione, frustrazione e
scoraggiamento.
Quanto siamo lontani dall’affermazione di Gesù : ”Se rimanete nella mia parola, siete davvero
miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,
32). Dinanzi alla contestazione dei suoi peccati, il popolo cerca di placare
Dio e va alla ricerca di sacrifici, oblazioni e quant’altro può calmare l’ira
di un padrone sdegnato. Ma è questo che si aspetta veramente il Signore da chi
crede in Lui? Non mi sembra, a giudicare dalle parole del profeta: “Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e
ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la bontà,
camminare umilmente con il tuo Dio”.
Praticare la giustizia non è qualcosa
che bisogna fare solo in certi momenti della vita, ma deve essere il nostro
modo di vivere di tutti i giorni, la regola di vita. Uno dei campi in cui è
possibile vincere le distanze è quello dell’impegno per la giustizia. “E questa
sfida, scrive Mons. Gino Battaglia dell’Ufficio CEI per l’ecumenismo,si è già
tradotta nell’ecumenismo dei martiri, i nuovi martiri di tutte le Confessioni,
come li definiva Giovanni Paolo II”.
Amare la bontà, vuol dire fare non solo
quello che è giusto, quello che è nostro dovere fare. Amare la bontà vuol dire
praticare la misericordia, avere occhi e cuore aperti a notare i bisogni degli
altri, per vedere come possiamo dare una mano; vuol dire che diventa una gioia
per noi aiutare gli altri, portare gli uni
i pesi degli altri e così diventano più leggeri per tutti. Nel campo
della vostra professione come tutori della convivenza civile tra cittadini,
amare la bontà significa non limitarsi all’aspetto repressivo e sanzionatorio
del vostro servizio alla collettività, ma curare l’educazione alla legalità e
alla solidarietà.
Camminare umilmente con Dio: comprendiamo molto meglio del profeta Michea questa affermazione perché sappiamo che veramente Dio è venuto ad abitare in mezzo a noi e cammina con noi: è il Mistero del Natale, della nascita del Figlio di Dio come figlio di Maria a Betlemme, nell’umiltà e povertà del presepio. Non un Dio che se ne sta sulle nuvole, ma il Dio che è venuto a prendere su di sé le nostre debolezze, ad abbattere il muro di divisione e raccogliere i figli di Dio dispersi in nome della fratellanza universale che si esercita nell’amore e nella condivisione. Solo in questa direzione c’è un futuro per l’umanità, futuro rischiarato dalla fiaccola della fede rinnovata, a partire dall’accoglienza della rivelazione di Dio con cuore puro e tenero, passando attraverso l’azione di ogni credente che estende agli altri il dono ricevuto da Dio, manifestando con l’amore e il rendimento di grazie la riconoscenza al Signore che “piega la durezza dell’uomo, e in un mondo lacerato da lotte e discordie lo rende disponibile alla riconciliazione”(Dal Messale Romano).
* Sora 18 gennaio 2013. Il comunicato stampa è di Gianni Fabrizio.
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